giovedì 13 gennaio 2022

Raise Brewing: un sogno che vola in alto!


Oggi siamo in compagnia di Damiano, Luca e Manuel, tre giovani amici che nel pieno della prima ondata Covid hanno lanciato la loro beer firm.

Raise Brewing, dalla provincia di Padova, birre giovani ma idee chiare

 

Ciao ragazzi e benvenuti sul Giornale della Birra. Chi c’è dietro al marchio Raise Brewing e quando siete nati ?


Dunque, Raise Brewing nasce nel 2020, legalmente a marzo ma in maniera definitiva ad ottobre, con le prime cotte!

L’idea è frutto principalmente della passione contagiosa di Damiano Arcaro che è colui che più ha bazzicato nel mondo birrario. prima come homebrewer, poi si è nel frattempo guadagnato la laurea triennale e magistrale a Padova in chimica industriale, collaborando per la seconda tesi con il Birrificio Brewfist  che ha poi gentilmente offerto lui uno stage di sei mesi, ancora oggi si sente con tutti i ragazzi della produzione. Tornato a Padova ha poi lavorato per altri sei mesi presso il brewpub Vecchio Birraio proprio prima della pandemia di marzo 2020 che ha troncato la sua permanenza causa taglio inevitabile del personale.

Luca Dalla Costa e Manuel Gallo si sono appassionati al mondo birrario parallelamente per amicizia con Damiano. Luca è laureato in comunicazione a Padova e poi ha fatto un master di specializzazione a Madrid, a lui si deve tutta la cura delle pagine social e del sito. Manuel ha infine una laurea magistrale in scienze forestali, è un cosiddetto “testa fina e tuttofare”: potrebbe creare un esplosivo da un sacchetto di farina, per dirla alla MacGyver.

 

               


Quale origine per il vostro nome e il logo scelto?


Il nome è frutto di un pensiero comune: siamo giovani, siamo poveri, da qualche parte dobbiamo partire. Partiamo dal basso e cresciamo, birrificando, ecco il “Raise Brewing”. L’idea è quella di crescere e creare un pubblico e una comunità attenta sotto tutti i punti di vista, perché la birra crea da sempre socialità . Ecco perché non il rise (in inglese è quasi un erigersi sopra gli altri , un sovrastare) ma il Raise: il verbo è transitivo, quindi assume per noi la connotazione di prendersi cura di qualcuno e di qualcosa, di sviluppare un progetto che porti le persone, come spesso si legge nei pub, a ‘pensare globale, bevendo locale . Il progetto prevede infatti la partenza da beer firm e la formazione di un agri birrificio (magari sociale), giovane nella bevuta ma attento all’aspetto agricolo e alle persone.

Il logo è tutta farina del sacco di Luca. Lavorando nel mondo della comunicazione gli è stato facile pensare a qualcosa di minimale e nel contempo giovanile. Tramite alcuni amici grafici si è confrontato per rendere logo solo una delle lettere, la “A” di Raise Brewing.

La A è costituita una sequenza di frecce orientata verso l’alto a testimoniare la crescita. È inoltre la rappresentazione stilizzata di un albero che a sua volta cresce partendo dalle radici proprio come noi.

Piccola curiosità divertente: quando ci chiedono in Veneto se si debba leggere in dialetto noi subito diciamo di no. Sarebbe da leggere in Inglese, ma la traduzione dialettale ( in veneto Raise significa radici ) c’entra molto col significato che vogliamo dare al progetto. Morale? Ognuno ci chiama un po’ come vuole! Ma l’importante è venire chiamati!

 

Quattro birre al momento, quali sono? Avete in cantiere altre ricette per i prossimi mesi ?


Le birre al momento sono 4 e coprono quasi tutti i palati!

Wawa, New Zealand pils da 5% con wai-ti e wakatu: due luppoli per un terzo tedeschi che fanno di questa birra una bassa fermentazione pulita, con la giusta dose di amaro e di cereale ma con un naso non propriamente tedesco. Niente di tropicale per carità! Ma una sventagliata erbacea e delicatamente agrumata/floreale che si ripresenta al naso e poi anche a metà bevuta.

5 o’clock, Ordinary bitter da 3.8% tipicamente e completamente inglese. Carbonazione bassa, malti inglesi, luppoli inglesi e lievito inglese, niente dry hopping. È una birra che noi amiamo perché quando spinata in pompa dal fusto ti riporta sui banconi di Londra con tutte le caratteristiche accoglienti di una bitter e tutto in meno di 4 gradi alcolici.

Yours, session IPA da 4.4% luppolata con Chinook e Idaho 7. Una birra che spinge sulla freschezza balsamica di questi due luppoli: rimane bella resinosa e agrumata tanto al naso quanto in bocca. L’idaho 7 è un luppolo incredibile, con note dank introvabili anche nelle tante varietà pluri utilizzate come Simcoe, Columbus e via dicendo.

Big One, west coast IPA da 7.2%. Chiara anche lei, secca, con uno spettro aromatico molto vario: principalmente resina ed agrumi, ma anche tropicale ,mango maturo e cocco soprattutto.

 

In cantiere?


Sicuramente ci piacciono le Imperial Stout, sia con varie aggiunte , sia nude e crude. Sarebbe bello produrne una, magari in collaborazione con qualche artigiano locale del caffè, della vaniglia o del cacao!

Un’altra birra che manca in referenza è la birra maltata, sempre di facile beva, ma in bassa fermentazione. In poche parole bock/doppelbock. Sono quelle birre che pur registrando dai 6 agli 8 gradi alcolici, quando ben prodotte, sono assassine e nascondono i loro effetti sotto la trama di ingresso maltata e nel finale secco.

 

Come nasce l’idea di puntare solo sulle lattine e non sulle bottiglie, solitamente più comuni tra beer firm e birrifici?

 

La lattina ha molteplici vantaggi.

I primi sono puramente ambientiali: l’alluminio è riciclabile all’infinito, inoltre in un viaggio a parità di volume di trasporto ci stanno molte più lattine rispetto a bottiglie.

In secondo luogo la lattina se riempita correttamente, ha un pick up di ossigeno inferiore alla bottiglia. La bottiglia ogni giorno prende circa 3/10 ppb di ossigeno a temperature basse, la lattina meno, per cui la freschezza è preservata per tempi leggermente superiori.

Inoltre è dotata di film protettivo anti ossidante che riveste l’interno del contenitore, ulteriore schermo all’ossidazione, che è il principale problema del 60% dei prodotti con più di tre mesi di vita (ma anche meno a volte) , ed infine è interamente graficabile, concede la massima espressione a chi vuole che il prodotto oltre che buono sia bello!

Noi abbiamo la fortuna di collaborare con Laura Allegro, compaesana e coetanea, che è una vera e propria artista dotata di atelier e che produce le etichette a seconda delle sensazioni che le birre ci comunicano sia a livello di bevuta, sia a livello di ideale.

Per questo motivo ci va di massimizzare lo spazio dell’etichetta con l’utilizzo della lattina.

Infine le spedizioni! Avendo uno shop online e dovendo spedire qualche volte fuori regione, il rischio del corriere disattento è sempre dietro l’angolo. Il vetro è la cosa più fragile che ci sia, nonostante anche la lattina quando ammaccata, perda l’efficacia anti ossigeno di cui è dotata in un baleno.

 

                  


Avete aperto in pieno Covid 19. Com’è andata e quali sono i progetti e sogni per il futuro?

 

L’apertura in pieno covid è stata una prova non da poco! Con un mercato praticamente da costruire e i locali chiusi è stata da subito in salita. Di 50 ettolitri inizialmente prodotti, di cui 110 fusti da 20 e 25 litri, ne abbiamo imbottigliati  almeno una cinquantina (uno a uno) in contropressione appoggiandoci ad un birrificio della zona. In questo modo abbiamo potuto rivendere tramite lo shop online una grossa parte della merce ancora fresca ai privati. Praticamente una volta a settimana ci dovevamo trovare tra soci a etichettare a mano, confezionare e stoccare la merce. Potete immaginare la fatica! Comunque rispetto a chi ha avuto un impianto di produzione fermo per mesi stiamo parlando di bazzecole considerando la contrazione dei volumi e di vendite!

Adesso stiamo puntando direttamente al Birrificio, lo diciamo consapevoli della giusta dose di incoscienza e di denaro che ci vogliono! Stiamo valutando investitori per creare in zona Padova un impianto come si deve. Siamo dell’opinione che se si vuole aprire si deve aprire coscienti della qualità che oramai hanno i prodotti italiani altrimenti non ha senso. Aprire nel 2021 un Birrificio senza possibilità di fare basse fermentazioni ha poco senso a nostro avviso, come anche aprire rifermentando tutti i prodotti. La tap room è ormai d’obbligo per marginalità e collegamento diretto con il cliente. Inoltre aver il proprio locale di mescita permetterebbe a noi di iniziare da subito a metter in pratica le idee e i sentimenti che mettiamo in Raise brewing .

 

                                          

 

Un ultima domanda, difficile. Qual è per voi la vostra miglior birra bevuta, locale o birrificio preferito?


Essendo in tre abbiamo ovviamente tre migliori birre bevute, tre locali del cuore e tre birrifici a cui teniamo, ma non specificheremo chi ha detto cosa per un po’ di sana suspence!

L’ordine è casuale!


Migliori birre bevute:

Botte di natale 2019 di Brasseria della fonte,

Larkin street di Porta bruciata,

La Grigna di Lariano.

 

Locali preferiti (il cibo è stato ovviamente un parametro oltre alla qualità della bevuta):

The drunken duck, Quinto Vicentino, Vicenza

Taverna del Porto, Padova

Beeriot, Monselice, Padova

 

Migliori birrifici:

Manerba, Manerba sul garda

Ritual Lab, Roma

Brasseria della Fonte, Pienza

 

Ringraziamo i ragazzi di Raise Brewing per la disponibilità e gli assaggi.



Tutto ciò che viene scritto e pubblicato in questo blog è frutto della mia esperienza personale, ciò che pubblico è una mia opinione.Nel caso alcuni contenuti dovessero causare problemi, vi chiedo gentilmente di contattarmi


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